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venerdì 27 febbraio 2015

Gino Paoli

Gino Paoli parla della SIAE, delle diverse possibilità che possono spingere due milioni di euro a trasferirsi in Svizzera e di un suo rimpianto.
Intervistatore: Se permette, io comincerei con le mie domande.
Paoli: Prego, ma stia bene attento a quello che dice, non le vorrei tirare un pugno.
I: Se dice così, mi mette un po’ a disagio. La mia intenzione è solo di farle un’intervista, non un incontro di pugilato.
P: No, perché so come funzionano le interviste possibili, so che la battuta è sempre dietro l’angolo.
I: Bene, cercherò di essere il più serio possibile. Dunque, per quasi due anni lei è stato alla guida della SIAE.
P: Sì, sono fiero di aver guidato l’istituzione voluta da Giuseppe Verdi e proprio per non nuocere a un’istituzione così gloriosa ho rassegnato le mie dimissioni.
I: Appunto, un’istituzione gloriosa, ma che oggi naviga in ben altre acque, anche se lei si è dimesso… 
P: Stia attento perché non le permetto di parlar male della SIAE.
I: Non sia suscettibile, io volevo solo manifestarle una cosa che non capisco. La SIAE nasce per tutelare gli interessi degli autori, e sembra che li tuteli bene.
P: Non bene, benissimo.
I: Soprattutto, si dice, quelli degli autori più importanti.
P: Questo lo dicono gli autori non importanti perché sono incapaci.
I: Va bene, ma come mai riesce ad amministrare bene gli interessi degli autori e poi però non riesce a mantenere il proprio bilancio non dico in attivo, ma nemmeno in pareggio. E non si tratta nemmeno di perdite da poco, ma di decine di milioni. Come se lo spiega?
P: Io?
I: E chi sennò? Non era lei il presidente?
P: Premettiamo che essere presidente non significa potersi spiegare ogni cosa. Ma lei sa meglio di me che in questo paese i deficit non si creano, si trovano. E comunque tra i miei obiettivi c’era proprio il pareggio di bilancio da raggiungere nei prossimi anni.

I: Nel corso del suo incarico la sua principale battaglia è stata la lotta contro la pirateria, che a suo dire sottrae risorse agli autori e agli editori. Anzi, per essere precisi ha usato la parola “depreda”. Ora, io battute non ne faccio, però può capire quelli che adesso le fanno alla luce della vicenda che la vede coinvolto.
P: No, non li capisco e mi incazzo pure. Non vorrà mettere sullo stesso piano i soldi sottratti agli autori, legittimi possessori dei loro diritti, e una presunta evasione fiscale?
I: Se non si arrabbia troppo, quando l’evasione non è più presunta, li metterei proprio sullo stesso piano, perché i soldi sottratti al fisco sono sottratti a un legittimo proprietario che è la collettività.
P: In Italia lei metterebbe il furto e l’evasione fiscale sullo stesso piano, ma dice sul serio?
I: Beh, in Italia, certo, si può discutere, diciamo sullo stesso piano a un livello teorico.
P: Ah, ecco, già così va un po’ meglio.
I: Però adesso secondo gli inquirenti lei avrebbe portato due milioni in Svizzera.
P: Bravo, ha fatto bene a usare il condizionale, avrei.
I: Sì, ho usato un condizionale, per così dire, giornalistico, ma i soldi stanno in Svizzera all’indicativo, che più indicativo non si può.
P: I soldi stanno in Svizzera, è vero, ma questo non significa che siano il frutto di un reato.
I: Va bene, io non mi permetto adesso di istruirle un processo. Ma non capisco in quale altro modo due milioni se ne possano andare in Svizzera.
P: Le rispondo. A parte che in Italia succedono tante cose all’insaputa del diretto interessato, ma due milioni possono andare in Svizzera in tanti modi. Mettiamo che io mi sia fidato della persona sbagliata? A quante persone non è successo di fidarsi delle persone sbagliate? Oppure mettiamo che il medico mi avesse consigliato dopo tanti anni passati al mare di trasferirmi in montagna e che quindi io abbia spostato lì i miei risparmi e poi solo per pigrizia non abbia preso la residenza. Mi si vuol far pagare la pigrizia?
I: Veramente le intercettazioni sembrano dire un’altra cosa.
P: Su questo punto mi consenta di non essere d’accordo. Le intercettazioni, l’avrà sentito tante volte in questi anni, vanno contestualizzate.
I: Beh… più contestualizzate dello studio di un commercialista.
P: È una battuta per caso?
I: No, rispondo alle sue parole. Ma, per concludere, non sarebbe stato meglio, anche per rispetto nei confronti del suo pubblico, che tanta stima le ha tributato nel corso della sua carriera, ammettere di aver sbagliato, di aver per così dire ceduto a una momentanea debolezza, piuttosto che imbarcarsi in una difesa che francamente sembra un po’ un arrampicarsi sugli specchi?
P: Certo che no! Posso rinunciare a tutto ma non alla mia immagine!
I: E nemmeno ai due milioni, ovviamente.
P: Ci mancherebbe!
I: Quindi pensa di non avere nulla da rimproverarsi?
P: No, qualcosa mi rimprovero.
I: Cosa?
P: Di essere andato da quel maledetto commercialista.

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