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giovedì 7 maggio 2015

L'avvocato di Grillo

L’avvocato di Grillo parla di tutela del marchio, di cosa potrebbe accadere nel malaugurato caso di dipartita del suo titolare e svela alcuni segreti sulla natura dello staff.

Intervistatore: Chissà perché me l’immaginavo diverso.
Avvocato: In che senso?
I: Viene da tutti descritto come molto temuto, anzi, parlando di lei, i giornali usano spesso il superlativo, “temutissimo”, invece mi sembra una persona normale.
A: Faccio bene il mio lavoro. Tutto qui. Questo probabilmente contribuisce a diffondere quell’immagine di cui lei parla, ma per il resto sono una persona normalissima. E poi posso contare su una squadra di collaboratori molto efficienti e mi avvalgo pure dell’aiuto di altri studi legali.
I: Ah, chissà perché mi immaginavo che operasse da solo.
A: Vuole scherzare? Lei non ha idea di quanti procedimenti legali richieda la difesa di un marchio a questi livelli. Per una sola persona sarebbe materialmente impossibile. Non ci sono solo i casi che finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma anche i litigi di ogni tipo che sorgono all’interno dei vari meet-up locali.
I: Si litiga molto?
A: Altroché! nei meet-up locali si litiga tantissimo, anche perché non ci si è messi d’accordo sulla sede in cui riunirsi, e ogni volta bisogna intervenire, stabilire chi ha ragione e mandare la lettera all’altro.
I: Riesce sempre a dirimere le controversie?
A: Nella maggior parte dei casi. Quando la questione è troppo ingarbugliata, si vieta l’uso del marchio a entrambe le parti e buonanotte.
I: Detto per inciso, lei è anche nipote di Grillo nonché vicepresidente del M5S. Il vicepresidente di un’associazione politica più silenzioso e anonimo che si sia mai visto, verrebbe da dire.
A: Assolutamente sì. Mio zio non mi avrebbe affidato un incarico tanto delicato, se oltre alla parentela non avesse potuto contare su un professionista capace di tenere il basso profilo. Sa com’è fatto, non sopporta di avere accanto persone che possano fargli ombra. Anzi, non sopporta proprio nessuno accanto.
I: Sì, questo lo avevamo capito. Ma a proposito di questa struttura, per così dire, familiare del M5S, mi sono posto spesso una domanda. Facendo ovviamente i dovuti scongiuri, ma se suo zio dovesse venire a mancare, lei diventerebbe, seppure per il periodo strettamente necessario a un riassetto del Movimento, il nuovo leader. Praticamente i militanti si ritroverebbero un leader che non hanno mai visto in volto.
A: Come giustamente ha detto, non sarebbe per molto tempo. Non è nelle mie aspirazioni fare il leader di un movimento. Se ho accettato questa carica è solo perché si tratta di un ruolo puramente formale.
I: In che modo secondo lei avverrebbe questa successione?
A: Le rispondo da un punto di vista strettamente legale, che poi nella fattispecie è l’unico che ha valore. Il passaggio di proprietà, poiché di passaggio di proprietà si tratta, avverrebbe dal notaio. Toccherebbe poi agli eredi legali, immagino moglie e figli, disporre dell’uso politico del marchio come meglio credono.

I: Significa che uno o più membri della sua famiglia potrebbero subentrargli alla guida del Movimento?
A: Tecnicamente sì.
I: Ragionando sempre in via teorica, potrebbero pure decidere di vendere il marchio.
A: Se lei è proprietario della casa in cui abita può invitare chi vuole, può affidarla a chi vuole o può anche venderla. Quindi, in quanto proprietari, i futuri eredi potrebbero disporre del marchio come meglio credono.
I: Ma non le sembra assurdo che migliaia di militanti potrebbero ritrovarsi da un giorno all’altro senza il simbolo per il quale hanno lavorato per anni, magari perché la famiglia del leader ha deciso di venderlo a qualcuno?
A: Guardi, io faccio l’avvocato, non il politico, e nella fattispecie tutelo gli interessi del mio cliente, non quelli dei militanti.
I: In un paese democratico i partiti dovrebbero essere organizzati in maniera democratica. Secondo lei, il M5S. risponde a tale principio?
A: Intende la possibilità di eleggere e controllare l’operato dei propri dirigenti?
I: Eh sì, per organizzazione democratica si intende proprio ciò.
A: Allora la risposta è no.
I: Ma nel mettere a punto le regole organizzative non vi siete posti il problema del rispetto del principio costituzionale secondo cui i partiti possono concorrere a determinare la politica nazionale con metodo democratico?
A: Guardi, per me i principi costituzionali sono come dei soprammobili. Possono anche essere molto belli, ma non servono molto. Uno li guarda un momento, dice “ah, molto bello questo”, ma subito passa alle cose utili e non ci pensa più. Del resto, mi pare che i fatti ci abbiano dato ragione. Nessuno ha impedito al Movimento di presentarsi alle elezioni.
I: E suo zio la pensa come lei?
A: Se avesse avuto altre idee avrebbe modificato l’assetto del Movimento, non crede?
I: Penso di sì.
A: Ecco. Il punto fondamentale, per ricollegarmi a quanto dicevo prima, non sono i principi che stanno alla base dell’organizzazione, quanto piuttosto il perfetto funzionamento dell’organizzazione stessa. E considerato che il Movimento appartiene a mio zio, l’organizzazione che gli abbiamo dato è la migliore possibile, in quanto permette al proprietario di gestirlo come meglio crede.
I: Ma se non è esso stesso organizzato in maniera democratica, come può il Movimento essere credibile come esempio di democrazia diretta?
A: Questo dovrebbe chiederlo a coloro che lo credono.
I: L’altra curiosità che ho, e penso di non essere il solo, riguarda lo staff. Sembra qualcosa a metà tra il grande fratello e il tribunale kafkiano. Ma esiste veramente?
A: Certo, nemmeno mio zio potrebbe fare tutto da solo.
I: E da chi è composto? come vi si accede?
A: Lo staff non è un organo autonomo, chiaramente, in quanto l’unico autonomo è mio zio. Indica in maniera generica tutti i suoi collaboratori. Profili di vario tipo, dal tecnico informatico al consigliere economico, tanto per fare qualche esempio. Vi si accede solo per chiamata diretta di mio zio, con contratti a progetto e bisogna impegnarsi a operare in forma anonima e a non rivelare a nessuno di farne parte. Pena una salatissima penale, per la quale al momento dell’assunzione viene consegnato un assegno firmato come garanzia. Come le ho detto, mio zio non ama i protagonismi.
I: A parte il suo.
A: Ovvio, a parte il suo.
I: È curioso, sembra quasi di parlare di una società segreta.
A: In effetti, quello della segretezza è un suo chiodo fisso. Nell’area di lavoro comune ha fatto affiggere l’immagine che ha inserito anche in un post: “tacete! il giornalista vi ascolta!”

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Carlo Sibilia


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