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domenica 6 settembre 2015

Giorgio Squinzi, capo degli industriali

Il presidente di Confindustria parla del fattore che impedisce la modernizzazione del paese, delle Trade Unions e di due tipi di delocalizzazione possibili.

Intervistatore: Vorrei sapere quali sono secondo lei i fattori che condizionano e frenano la crescita economica del paese.
Squinzi: Fattori? quali fattori? A me risulta che vi sia un solo fattore. Il sindacato. Punto.
I: Su quali elementi si basa questa sua affermazione così perentoria?
S: Che il sindacato sia il fattore di ritardo per eccellenza è innegabile.
I: Perché innegabile?
S: Non sto a perdermi in chiacchiere, le faccio un esempio molto semplice. Prenda un imprenditore che per onorare una commessa abbia bisogno di accelerare i ritmi di lavoro e si munisca quindi di una frusta con la quale gira lungo la catena di montaggio per spronare quelli che si attardano…
I: Spronare non mi pare forse la parola più idonea.
S: Vabbe’, non stiamo a sottilizzare sulle parole, mi faccia finire il ragionamento. A quel punto si danno due possibilità: o gli operai aumentano il ritmo produttivo per naturale timore delle frustate, e di conseguenza l’economia cresce, oppure gli operai si rivolgono al sindacato e allora il risultato sarà quello di arrestare la produzione, cioè il contrario di cui un paese proiettato verso la modernità e il rinnovamento ha bisogno. Non crede?
I: No, veramente non credo.
S: Per quale motivo, di grazia? Le sembra che ci sia qualche falla nella logica del mio ragionamento?
I: No, la sua logica non ha falle, solo che bisognerebbe considerare anche la sostanza.
S: Guardi, se vogliamo addentrarci in riflessioni filosofiche, le dico subito che non è il mio campo. Io parto solo dal presupposto che l’operaio fa parte del processo produttivo e come parte del processo produttivo va considerato. Punto. Tutto il resto sono chiacchiere.
I: E altri fattori, penso in primo luogo all’evasione fiscale e all’economia sommersa, sono secondo lei secondari nel processo di modernizzazione del paese?
S: Ancora con questa storia?! Certo che sono secondarie! Eppure non mi pare un concetto difficile da comprendere! Lo vuole capire che i soldi rappresentano la libertà e che per girare non hanno bisogno del passaporto?
I: Sì, questo lo capisco benissimo, non si arrabbi. La mia osservazione aveva piuttosto l’intenzione di evidenziare il lato etico della questione.
S: Etica? Scusi, che c’entra adesso l’etica se stiamo parlando di economia? l’economia non ha lati etici. Quando lei si ammala chiede al medico l’anamnesi e la cura della malattia o una spiegazione etica?
I: No, in quel caso no, ma se parliamo di economia parliamo anche di persone, non crede?
S: No, non credo. Quando si parla di economia si parla di un tipo particolare di persone, quelle che hanno soldi. Quando io entro in banca, per il direttore sono un conto corrente e come tale vengo accolto. 
I: Ma non pensa che anche gli industriali abbiano le loro colpe. Lasciamo stare l’evasione, ma che mi dice della delocalizzazione, è forse una cosa che ha giovato al paese?
S: La delocalizzazione è certamente un danno per il paese, ma di chi è la colpa? dell’industriale che se ne va in Cina?
I: Direi di sì.
S: E no! Quando io imprenditore ti dico che i miei margini di guadagno sono troppo bassi e che sono costretto a delocalizzare in Cina, tu, sindacato, cosa dovresti dirmi?
I: Non mi pare gli resti molto da dire, a meno che non dicano trattateci e pagateci come i cinesi.
S: Bravo, proprio questo dovrebbe dire un sindacato che ha a cuore le sorti del proprio paese! Sa  quando sono cominciati i problemi della società moderna? 
I: Non lo so, ma credo di poter indovinare il suo pensiero.
S: Quando sono state inventate le Trade Unions.
I: Ecco, ci sarei andato vicino.
S: Guardi, come capo degli industriali, glielo dico con assoluta certezza: non c’è un solo industriale che posto davanti all’alternativa tra delocalizzare i propri stabilimenti produttivi in Cina o delocalizzare la Cina in Italia, sceglierebbe la prima opzione.
I: Di questo non ne dubito. Parliamo un po’ dei suoi rapporti con questo governo di sinistra?
S: Non ho capito…
I: Ho detto parliamo un po’ dei suoi rapporti…
S: Ho capito la domanda, non ho capito l’ultima parola.
I: Sinistra… Un governo di sinistra.
S: Chi gliel’ha detto che è un governo di sinistra?
I: Beh, Renzi l’ho ripete a giorni alterni.
S: Ma lei ha visto qualcosa di sinistra?
I: A essere sincero, non molto.
S: Ah, ecco. Ad ogni modo, i nostri rapporti con questo governo di… sinistra, mi viene un po’ da ridere, sono molto buoni. Le dirò che mai avevamo trovato un presidente del consiglio così ricettivo alle nostre proposte. Ad avercene di questa sinistra!
I: Quindi anche dal suo punto di vista, con Renzi si è cambiato verso?
S: No, il verso veramente è sempre lo stesso, ed è bene che sia così. Renzi però va più veloce. Non solo accoglie prontamente le nostre richieste, ma spesso e volentieri le anticipa pure, non ci lascia nemmeno il tempo di domandare.
I: E come se lo spiega?
S: Non lo so, forse mi legge nel pensiero.

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