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sabato 7 gennaio 2017

Fedeli, l'istruzione fatta ministra

La neoministra dell'Istruzione parla delle polemiche che hanno fatto seguito alla sua nomina e del luogo migliore per imparare, nonché di quelle cose che si dicono ma non si fanno.

Intervistatore: La sua nomina a ministro ha suscitato molte polemiche. Se il suo collega Poletti non le fosse venuto in soccorso, attirando l'attenzione su di sé con la sua brillante uscita sui giovani che vanno all'estero, probabilmente se ne sarebbe parlato ancora a lungo. Cosa dice al riguardo?
Fedeli: La matrice degli attacchi di cui sono stata oggetto ha un'origine facilmente identificabile, anche in virtù della consistenza, se mi passa il doppio senso, del personaggio da cui è partito tutto. Capisce a chi mi riferisco?
I: Sì, capisco.
F: Ecco, la laurea è stata una scusa, si è attaccata la mia persona per colpire le battaglie progressiste che ho portato avanti. Punto.
I: Se mi permette, il punto non lo metterei. Personalmente, condivido pure le sue battaglie, però dire di essere laureata quando poi si scopre che non ha nemmeno un diploma, non mi sembra una cosa che deponga a favore di un ministro, conservatore o progressista che sia. Qui si tratta semplicemente di dichiarare il falso.
F: No, mi permetta lei di non essere d'accordo. Se avessi detto di essere laureata con l'obiettivo di fare il ministro dell'istruzione, sarebbe stato dichiarare il falso. Ma quando io ho inserito la laurea nel mio curriculum non pensavo proprio di fare il ministro. Non c'era premeditazione. Ho solo di indicato un titolo che mi sarebbe piaciuto avere ma che le circostanze della vita mi hanno impedito di conseguire.
I: Mah... mi pare una spiegazione un po' tirata per i capelli, il curriculum non è la lista dei desideri. Rimane il fatto che lei va a guidare un ministero nel quale la stragrande maggioranza dei suoi sottoposti per accedere all'attività che svolge non solo ha bisogno di una laurea, ma spesso ha dovuto seguire anche dei corsi post-laurea e sostenere dei concorsi, mentre quelli che hanno il suo stesso titolo di studio fanno tutt'al più gli ausiliari scolastici o gli uscieri.
F: Non ci vedo nulla di scandaloso in ciò. Uno può avere le competenze per svolgere benissimo il suo ruolo di ministro anche se non ha mai conseguito una laurea, così come uno può averne anche due di lauree e non essere in grado di far funzionare un ufficio.
I: Ha ragione, ma il fatto è che lei non sembra avere nemmeno tali competenze, visto che è stata sindacalista praticamente per tutta la vita in un settore che nulla ha a che vedere con la scuola. 
F: Questo è vero, ma quale luogo migliore del ministero dell’Istruzione per imparare!
I: Intanto però, mentre lei studia da ministro facendo il ministro, potrebbe trovarsi in un convegno nel quale dei ricercatori le rivolgono delle domande su cose che lei non ha mai sentito nominare e di cui non ha la minima idea. 
F: Questo non sarebbe una novità, mi è già successo parecchie volte. Trattandosi comunque di un ruolo istituzionale, almeno fino a quando non avrò raggiunto una buona preparazione cercherò di mantenere un basso profilo, eviterò di partecipare a convegni o di cacciarmi in situazioni che potrebbero rivelarsi imbarazzanti.
I: Mi pare dunque di capire che lei escluda di potersi sentire a disagio anche al solo presentarsi all’inaugurazione dell’anno accademico per rivolgere agli studenti l'invito di rito a impegnarsi per conseguire la laurea? 
F: Sì, ha capito benissimo, può tranquillamente escluderlo. 
I: Certo, non potrà dire: senza una laurea non si va da nessuna parte.
F: Spiritoso... no, non potrò dirlo, come non potrò dire, visto che mi risulta che lei sia laureato, che a volte anche con la laurea non si va molto lontano. 



I: Va bene, andiamo avanti. Come si diceva prima lei ha alle spalle una lunga attività di sindacalista. Non le sembra di contribuire a gettare il discredito sul sindacato dando ragione a coloro che sostengono che sia ormai diventato solo un mezzo per fare carriera?
F: Perché cos'altro dovrebbe essere?
I: Come cosa dovrebbe essere?! Dovrebbe essere lo strumento per difendere i diritti dei lavoratori!
F: Ah sì, certo, non ci pensavo più. Ma comunque non è colpa mia se funziona meglio come strumento per fare carriera. 
I: Sì, però se tutti fanno come lei.
F: Ma guardi che anch'io penso che i sindacalisti debbano impegnarsi a fare ciò che diceva lei. Il mio è un caso isolato.
I: Di casi isolati, però, nella sua famiglia ce ne sono due, dal momento che anche suo marito ha fatto il suo stesso identico percorso, diventando senatore nella passata legislatura dopo aver fatto anche lui il sindacalista per tutta la vita.

F: Sì, ora a mio marito non ci pensavo, anche se lui non è diventato ministro.
I: Un'altra questione che è stata oggetto di critiche riguarda una sua intervista televisiva nei giorni precedenti il referendum nella quale subordinava il prosieguo del suo impegno politico alla vittoria del sì al referendum.
F: Queste sono cose che si dicono ma non si fanno.
I: Cioè?
F: Sono cose che si dicono per fare bella figura, come quando cantiamo l'inno nazionale. Diciamo tutti "siam pronti alla morte, l'Italia chiamò", ma mica siamo pronti veramente!
I: Un'ultima domanda. Secondo lei, come mai in alcuni ambiti, come per esempio l'economia, ci vuole per forza un esperto della materia per fare il ministro, mentre in altri, come per l'appunto l'istruzione, va bene chiunque?
F: Su questa domanda mi avvalgo della facoltà di non avere opinioni.

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