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giovedì 2 luglio 2015

Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera

L’ex segretario di Rifondazione parla di privilegi,  di come l’amicizia di classe sia destinata a subentrare alla lotta di classe e di che morte è morta la sinistra.

Intervistatore: Si parla spesso di lei come di un privilegiato. Lei si considera tale?
Bertinotti: Bisogna vedere quale valenza si attribuisce al termine.
I: Non mi pare ci siano molte valenze possibili, un privilegiato è uno che gode di privilegi, e in Italia tale condizione ultimamente si associa di frequente a politici o ex politici.
B: Allora nel mio caso non parlerei affatto di privilegi, ma piuttosto dell’equa ricompensa per una vita spesa sempre al fianco degli operai.
I: Beh, al fianco… forse idealmente parlando.
B: Idealmente, certo, ma non creda che la vicinanza ideale sia meno degna della vicinanza fisica.
I: Non meno degna, ma sicuramente meno faticosa.
B: Questo non glielo lascio dire, dipende dalla passione che uno ci mette, dallo slancio ideale, e io le assicuro che in questo senso non mi sono mai risparmiato.
I: Va bene, ma mettendo per il momento da parte l’ideale e passando al reale, a molti è sembrato che lei frequentasse molto più i salotti e i circoli esclusivi della capitale che le case del popolo della periferia. Cosa risponde?
B: Le rispondo con tutta l’onesta intellettuale possibile che mi sarebbe sembrato irrispettoso dei miei principi rifiutare un invito nel salotto di qualcuno solo perché questo qualcuno era una contessa o una persona molto agiata.
I: Un invito è un conto, la frequentazione abituale un altro.
B: In effetti, ciò che in questi ambienti ho potuto apprezzare è la grande apertura mentale e l’assenza di ogni pregiudizio, è obiettivamente facile sentirsi a proprio agio.
I: Diciamo che in sostanza è diventato di casa.
B: Detto in questi termini si corre il rischio della semplificazione.
I: E va bene, corriamolo.

B: Sono diventato di casa come potrebbe diventarlo chiunque apprezzi tale compagnia. Anzi, io consiglierei a tutti di frequentare di tanto in tanto qualcuno di questi salotti o di questi club.
I: Beh, per frequentarli bisognerebbe essere invitati, e non sembra che da tali salotti partano molti inviti per i lavoratori.
B: Alla base di ciò credo vi sia una specie di equivoco. Molti di questi signori temono che da parte del proletariato vi sia un certo pregiudizio nei loro confronti, ragion per cui ci vanno cauti con gli inviti.
I: Molto cauti, direi.
B: Sì, molto cauti, ma bisogna capirli. Una volta un noto industriale mi ha detto, mentre giocavamo a bridge…
I: Ah, lei gioca a bridge?
B: Certo, non si aspetterà che in questi club si giochi a scopone scientifico o a briscola pazza?!
I: Sì, in effetti...
B: E mi permetta di farle notare che anche il bridge è vittima di pregiudizi. In realtà si tratta di un gioco estremamente democratico e che nel suo sviluppo...
I: Mi scusi se la interrompo, ma non ho pregiudizi verso il bridge. Veniamo piuttosto a cosa le diceva il suo amico industriale?
B: Diceva: guarda, io vorrei che i miei operai mi considerassero prima di tutto un amico, qualcuno che se gli chiedi un piccolo sacrificio economico o di seguirti, perché sei costretto a spostarti in Romania, lo fa senza pensarci due volte.
I: Non le è venuto il dubbio che l’idea dell’amicizia di questo signore fosse un pochino interessata?
B: Personalmente non ho l’abitudine di fare i processi alle intenzioni, ma interessata o meno che fosse, sono certo che dobbiamo lavorare su nuovi modelli di pensiero.
I: Dunque, volendo tirare le somme, in questi anni lei si è sentito il rappresentante del proletariato nei salotti romani o il rappresentante dei salotti romani presso il proletariato?
B: Questa è una bella domanda, complimenti!
I: Grazie. E quindi?
B: Le rispondo con la massima onestà intellettuale: entrambe le cose. Mi sono sentito come qualcuno chiamato dalla storia a costruire un ponte.
I: Può spiegarci meglio quale sia la natura di questo ponte?
B: Certo. Bisogna mettere da parte le categorie del passato. Parlare oggi di lotta di classe è ormai anacronistico. Il terzo millennio richiede nuovi ideali, come ho detto prima, nuovi modelli di pensiero. Io credo che la strada da percorrere sia quella dell’amicizia di classe.
I: Amicizia di classe? 
B: Esatto. Il proletariato ha il compito rivoluzionario di ribaltare la sua prospettiva storica e di offrire la propria amicizia al capitale. Questo è il ponte.
I: Ma come potranno in questo modo i lavoratori portare avanti le loro rivendicazioni?
B: Semplice, le chiederanno con la stessa naturalezza con cui si chiede qualcosa ad un amico.
I: E pensa che verranno accolte?
B: Ora non sono proprio ingenuo, non penso dall'oggi al domani il capitalista dica sì, ti aumento il salario e ti riduco l'orario di lavoro. Anzi, è più probabile che succeda il contrario, ma lo farà per diffidenza, perché dubita dell'autenticità di quella offerta. Ecco perché il proletariato non deve scoraggiarsi, ma deve persistere nel comportarsi da amico. Io sono convinto che a lungo andare nessuno può rifiutare un sentimento autentico di 'amicizia.
I: Capisco. Ora mi è più chiaro perché in una recente intervista ha detto che la sinistra è morta. Ma mi tolga un'ultima curiosità: da dove nasce questa sua sicurezza sulla morte della sinistra?
B: In un certo senso posso dire di aver assistito al suo decesso.
I: Ah, interessante, e visto che era presente, ci può dire se si è trattato di un delitto o di morte per cause naturali?
B: Bene non stava, diciamolo, anzi, era piuttosto malconcia. A voler essere precisi si è trattato di una specie di eutanasia, per non farla soffrire ulteriormente.

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Pietro Ichino

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